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Ubriaco a piedi e multato, ma anche i giornalai italiani non vanno meglio

Non c’è limite alla leggerezza di certi titoli. Nei giorni scorsi, l’episodio di un giovane multato per ubriachezza in luogo pubblico mentre tornava a casa a piedi è stato rapidamente strumentalizzato da alcuni giornalisti che, senza nemmeno controllare le basi legali del caso, hanno gridato allo scandalo contro il nuovo Codice della Strada introdotto dal ministro Matteo Salvini. Peccato che quella multa non abbia nulla a che vedere con le recenti modifiche normative. Eppure, per certi penne, la realtà è solo un accessorio.

La dinamica dei fatti: un copione già visto

Il giovane in questione aveva lasciato responsabilmente l’auto parcheggiata dopo aver bevuto e stava tornando a casa a piedi. Durante il tragitto, è stato fermato dai carabinieri e multato per ubriachezza manifesta in luogo pubblico, in base all’articolo 688 del Codice Penale. Una norma che, attenzione, esiste da ben prima che Salvini entrasse al governo. Ma questo dettaglio è stato ignorato da chi, evidentemente, preferisce cavalcare l’onda emotiva piuttosto che attenersi ai fatti.

La narrazione di certi media è sempre più incline a cercare colpevoli facili, senza preoccuparsi di scavare nei dettagli. L’episodio del giovane ubriaco è solo l’ultimo esempio di come si possa creare indignazione su misura, ignorando il contesto e deformando la percezione pubblica. Cosa sarebbe accaduto se il giovane fosse stato coinvolto in un incidente? Invece di lodare il suo comportamento responsabile, si è deciso di sminuirlo con una retorica priva di fondamento.

La narrazione manipolata: colpa di Salvini, a prescindere

Alcuni titoli, senza alcun approfondimento, hanno lasciato intendere che la multa fosse una diretta conseguenza delle recenti modifiche al Codice della Strada. Un errore grossolano che avrebbe richiesto almeno una verifica minima. Ma perché farlo, quando si può insinuare un legame inesistente e acchiappare clic?

Questo tipo di giornalismo è il perfetto esempio di come la fretta di creare polemica possa portare a distorcere la realtà. Salvini, come qualsiasi figura politica, può e deve essere criticato quando lo merita. Ma attribuirgli responsabilità inesistenti significa abdicare al proprio ruolo di cronista per indossare i panni di un propagandista dilettante.

A questa superficialità si aggiunge un’evidente mancanza di rispetto verso i lettori, che meritano notizie complete e contestualizzate. La multiformità delle responsabilità politiche non giustifica la disinformazione, e il risultato è una crescente polarizzazione che avvelena il dibattito pubblico.

Il danno alla credibilità del giornalismo

Questa vicenda non è solo un problema di cattiva informazione: è un problema di fiducia. Ogni volta che una testata preferisce sacrificare la verità sull’altare del sensazionalismo, mina la credibilità dell’intera categoria. Non ci si può lamentare della crescente diffidenza verso i media se poi si scelgono scorciatoie narrative che nulla hanno a che vedere con l’onestà intellettuale.

È fondamentale che i giornalisti si fermino a riflettere sul loro ruolo: informare, non manipolare. Altrimenti, si rischia di trasformare l’opinione pubblica in un’arena di tifoserie cieche e urlanti, dove i fatti passano in secondo piano rispetto alla narrazione.

Una riflessione più ampia

L’episodio solleva una domanda fondamentale: cosa vogliamo dal giornalismo? Vogliamo notizie accurate, contestualizzate, che ci aiutino a comprendere il mondo? Oppure ci accontentiamo di titoli gridati, utili solo a polarizzare l’opinione pubblica?

La responsabilità di un giornalista non è solo quella di informare, ma di farlo con rigore e rispetto per la verità. Puntare il dito contro Salvini per una multa che affonda le sue radici in una norma vecchia di decenni è un insulto all’intelligenza del lettore e un disservizio alla collettività.

Cosa sarebbe successo se altri cittadini avessero seguito la stessa logica, ignorando le normative vigenti? Il caso del giovane multato per ubriachezza manifesta è solo un esempio, ma le implicazioni sono profonde: se il giornalismo non è più in grado di distinguere tra polemica e verità, chi potrà farlo?

Conclusione: il giornalismo deve tornare a casa

È ironico, in fondo: il giovane multato voleva solo tornare a casa in sicurezza, mentre certi giornalisti sembrano aver perso del tutto la strada. La speranza è che episodi come questo siano un promemoria per chi scrive: ogni titolo è una responsabilità, e ogni articolo è una promessa di onestà. È ora di smettere di tradire quella promessa.

La strada è lunga, ma non impossibile. Il giornalismo può e deve ritrovare la sua bussola etica, ripartendo dai fatti e non dalle ideologie. E se questo significa rinunciare a qualche clic facile, allora che sia: la credibilità vale molto di più di un titolo sensazionalistico.

 

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